.:: Intervista fattami da una prestigiosa rivista irlandese sulla vicenda
.:: dei disegni regalatimi da Francis Bacon.
.:: Il più importante sito di controllo inglese al mondo su Francis Bacon
.:: “School of Francis Bacon”intervistandomi ricostruisce in modo scientifico
.:: e fulminante la vicenda dei disegni regalatimi dal pittore e la sua stessa vita.
Inside Francis Bacon: the mystery of his drawings
Interview with Cristiano Lovatelli Ravarino, by Andrea Varacalli
A never seen photo, F. Bacon with the Spanish Lover in Sicily Il mistero di Francis Bacon disegnatore eccelso, lui che si pensava non disegnasse, rievoca anche altri enigmi, primo fra tutti quello biografico di un Bacon sinistramente interessato al terrorismo irlandese, proprio lui che non tornò mai a vivere nella sua città natale, Dublino. Parleremo in seguito dei disegni. Ma che fosse ossessionato da tutto ciò che era militare, terroristico, spionistico, bellico, non sono soltanto io a ipotizzarlo in modo stravagante, magari per amore d’originalità, ma lo testimoniano le sue innumerevoli biografie. La guerriglia dell’IRA, secondo il biografo Michael Peppiatt, sarebbe addirittura alla base dei suoi dipinti. Si legge infatti in Francis Bacon: Anatomy of an Enigma: “later in life, when asked about the violence in his paintings he would often recall the civil tension had plagued Ireland throughout his childhood”(1).
L’Ira cercava di rubare i cavalli dell’allevamento di suo padre per usarli durante le fughe e il terribile Anthony Edward Mortimer, con spaventoso cinismo, metteva Francis e i suoi fratelli a sentinella degli stessi noncurante del rischio che correvano. Il marito della nonna materna era sceriffo della contea e la loro casa a Abbeilex era rinforzata con sacchetti di sabbia contro le fucilate. Spesso, durante le visite di Francis, capitava che dovessero interrompere di colpo la cena per rinchiudersi in cantina quando la gragnola dei colpi si faceva troppo fitta.
John Minham Photo
Espresse mai esplicitamente il proprio appoggio a uno dei gruppi in lotta?
I suoi genitori erano protestanti inglesi come pure la sua adorata tata Jessie Lightfoot, mentre la servitù era cattolica irlandese, ma questo non creò mai alcun problema. Da adulto, durante le conversazioni in cui cercavo d’illustrargli le caratteristiche dei vari gruppi in lotta, chiarimenti che non era stato in grado di ottenere da evanescenti e alticci amici inglesi, Francis non sembrava interessato a determinare per chi propendere. L’unico aspetto della discussione che lo seduceva era cercare di individuare quali fossero i più sanguinari (era molto affascinato dagli squadroni della morte dell’Ulster Freedom Fighters) o i più aitanti, gradazioni estetiche che io aggiungevo per amore di affabulazione. Quando citai l’episodio di un atto punitivo di sodomia tra gruppi antagonisti ne fu rapito e commentò: “E poi dicono che il terrorismo irlandese non serve a nulla. È una cosa serissima!”
Era entusiasticamente incuriosito dalla figura di Seamus O’Donovan, principale collegamento durante la seconda guerra mondiale tra L’IRA e i nazisti, individuo che avrebbe ritratto volontieri se non fossimo riusciti a dissuaderlo, come pure la bellissima spia tedesca, il capitano Herman Goertz, che negli anni quaranta scorazzò in lungo e in largo nella Lega Gaelica. A tal proposito Francis chiese all’Irish Times – senza ottenere risposta – le copie degli articoli pubblicati dopo il conflitto in cui Goertz rievocava provocatoriamente le capacità strategiche dell’IRA.
Essere riuscito a procurargli le fotocopie degli articoli attraverso il Dipartimento di Stato è una dei piccoli gesti con cui, con tutto il rispetto per il suo coivolgimento affettivo, volli dimostrargli di essere diverso dalla pletora di parassiti da cui fu soffocato tutta la vita. La sua passione riguardo queste tematiche era in grado coinvolgere anche i suoi interlocutori. Da quanto mi risulta, fu lo stesso Bacon a regalare all’adorato Giacometti il bestseller di Le Carrè “La spia che venne dal freddo” che, come ricorda James Lord nel suo “A Giacometti Portrait”(2), lo avvinse a tal punto da fargli smettere di lavorare fino a lettura ultimata e arrivare a pensare di riscriverlo, almeno in parte.
Me with Michael Wojas at Colony
Ritornando a Bacon, accennavi ad alcune tematiche che sono state fonte di costante ispirazione. Quale fu la cifra dell’influenza irlandese nel suo immaginario estetico?
L’irishness gli entrò per sempre nel sangue non solo per questo costante, e visionario, senso di minaccia, che lo assillava soprattutto quando si recava all’estero (durante i suoi soggiorni in Italia era angosciato dalla paura di essere vittima di un’azione delle Brigate Rosse), ma anche nelle vena creativa. La sua famosa ossessione per le strutture curvilinee, mi confidava, era il frutto di ricordi e impressioni infantili, come la visita a Newgrange, famosa per le sue spirali, o l’osservazione di famosi tesori celtici, come la gorgiera d’oro di Gleninsheen, il cui andamento curvilineo interrotto all’improvviso da ovali ricorda quasi uno stilema baconiano. Le fascinazioni di natura militaristica, manifeste solo a chi riusciva a coinvolgerlo emotivamente su questi argomenti di discussione, e difficilmente colte in interviste ufficiali come quella concessa al gionalista BBC David Sylvester in cui Francis commenta in sottofondo con un “all bullshits”, sono tramandate ad esempio dall’editore Sir Peregrine Worthorne che, in occasione d’un incontro a Colchester, nell’Essex, dove il pittore possedeva una delle sue tante dimore poco conosciute, rimase impressionato da come Bacon apparisse un sostenitore di nuovi Vietnam. Era orgogliosissimo del fatto che il suo bisnonno paterno, il Generale Anthony Bacon, fosse stato il più giovane ufficiale decorato da Wellington nella battaglia di Waterloo o che il prozio, il maggiore Herbert H.Bacon, fosse stato uno dei creatori della sezione di controspionaggio dell’agenzia MI5. Molti pensano che l’aver donato al suo erede lo Studio a Dublino sia una specie di ripicca contro l’Inghilterra, e magari in parte lo è, ma tradisce anche l’amore per le sue origini. Durante uno dei nostri ultimi incontri rimasi stupito nel vederlo leggere “The Captive Voice” che credo fosse la rivista dei prigionieri di guerra irlandesi, un foglio affatto facile da reperire a Londra.
Harry Diamond Photo
Accenni al risentimento dell’artista nei confronti dell’Inghilterra, terra in cui Bacon fu osannato…
Osannato fino a un certo punto. Il successo non arrivò prestissimo e dovette persino subire un processo per possesso di stupefacenti quando era palese, essendo lui asmatico, che fu incastrato da una mossa di vendetta dall’allora suo amante George Dyer. L’allora primo Ministro Margaret Thatcher, alla domanda se fosse orgogliosa di essere connazionale del più grande pittore del secolo insieme a Picasso reagì con un lamento di disgusto “Not that dreadful man who paints those horrible pictures!” Nessuno si permise di ricordare alla Lady di ferro che di molti politici dopo pochi mesi si dimentica persino l’esistenza mentre è probabile che tra cinquecento anni ci sarà chi continuerà ad interessarsi all’opera di Bacon. Anche in quell’occasione fui l’unico a confortarlo rivelandogli attraverso una fonte americana che la Thatcher era segretamente sotto indagine per la devastante ipotesi di aver deciso l’ingresso nella guerra delle Falkland con lo scopo di favorire la fabbrica di munizioni belliche della sua città natale, Grantham (dati che troverebbero conferma nel libro di memorie dell’agente sotto copertura dell’MI5, Gary Murray “Enemies of the State”).
Di tanti aspetti imprevedibili del carattere di Bacon il più sorprendente rimane questa vicenda di un’ingente produzione grafica, i famosi disegni, di cui non solo s’ignorava l’esistenza ma che risulta esserle stata completamente donata. Può raccontare i dettagli e le motivazioni di un tale lascito?
Ritratto dello Spanish Lover
Per quanto mi riguarda l’occasione rappresenta un ricordo per il quale trovo difficile, se non inutile, dare una motivazione razionale. Per chi conosceva veramente la sua indole non c’è nulla d’inaudito o incredibile in questo gesto e le cose in realtà furono molto meno misteriose di quanto si possa scetticamente pensare. Nel 1977, quando lo conobbi a Roma in occasione della festa di addio di Balthus a Villa Medici, Francis mi propose di trasferirmi da lui a Londra. Non so se avesse già incontrato John Edward, ma il fatto che questi fosse già fidanzato con un bullo a cui sarebbe sempre rimasto fedele, tale Phil the Till, non credo lo entusiasmasse. Ad ogni modo io non ero né un dislessico quasi incapace di scrivere o leggere come John, né un criminale balbuziente come George Dyer, né un elettricista tutto fare come sarebbe poi stato Barry Joule. Il mio padre ufficiale Ravarino era il braccio destro di David Rockefeller in Italia e il mio padre naturale, Gianni Lovatelli del Colombo, discendeva da una delle più antiche famiglie d’Europa. Soprattutto, io volevo fare il giornalista e non il mantenuto. Come gli ripetei diverse volte “Sono innamorato del tuo genio ma non al punto d’accettare di diventare una rotellina del tuo meccanismo”. Fu questo, tra le altre cose, ad affascinarlo ma anche a segnare la clandestinità del nostro rapporto. Se avesse rivelato che mi aveva regalato tutti i suoi più straordinari disegni sarebbe incorso in problemi legali con la Marlborough, che dimostrò la propria ferocia nel tutelare la propria esclusiva con il pittore durante la guerra giudiziaria intentatele dall’Estate, ma avrebbe anche ferito irreparabilmente chi gli dedicava la vita. Per chi si chiede come mai non abbia lasciato tutto a me o al bellissimo e ricchissimo amante spagnolo Pablo (di cui viene pubblicata per la prima volta una foto e la cui generosità lo portò a coprire Francis di regali, e non il contrario) l’unica risposta possibile è che lui ci percepisse come persone diverse, e per questo lo affascinavamo anche più di John o degli altri individui derelitti a cui si era accompagnato nel corso degli anni e che, in fondo, si vergognavano di lui. Che noi fossimo diversi lo dimostrava il fatto che io mi ero rifiutato d’andarci a vivere mentre Pablo aveva paura si sapesse delle sua omosessualità.
Self portrait
Quando, procurando il riso dei disinformati, nell’introduzione al catalogo della Shafrazy Gallery, ben curato dalla torinese Paola Gribaudo, John scrisse “Anche se non siamo mai stati amanti Francis mi ha lasciato tutto perché io sviluppai in lui il senso paterno”(3) alludeva, per quanto possa sembrare incredibile, a qualcosa di vero. Riassaporare il senso della famiglia, quella da cui era stato cacciato come un cane rognoso a neanche sedici anni solo perché non voleva fare il fantino e quella che, come omosessuale ossessionato dal lavoro, non avrebbe mai potuto permettersi in senso tradizionale, era forse per Bacon un’aspirazione segreta ancora più urgente dell’amore. Fu per questo che lasciò quasi tutto a un analfabeta, come la stampa inglese definì impietosmente il povero Edward. Analfabeta, forse sì, ma ogni giorno con lui, mentre lo splendido amante spagnolo e il sottoscritto erano orgogliosi di questo legame fintanto restava nascosto. È per questo che in un famoso articolo del 1998 uno dei corrispondenti dall’Italia dell’Indipendent, Lee Marshall, mette in bocca all’attuale direttrice della Marlborough, Kate Austin questa affermazione?
“Il pittore sapeva di questa favola dei disegni e ne era stravolto. È persino opinabile si siano mai incontrati.”
Ho sempre pensato che uno dei più formidabili avalli all’autenticità di questi disegni, a parte l’eccelsa qualità degli stessi, sia la grottesca demenzialità delle obiezioni postume che alcune fonti mi fanno. Prendiamo la dichiarazione della Austin. Allora: a) io e il pittore non ci eravamo mai incontrati b) nondimeno avevo pubblicato in Italia molte interviste dove facevo intendere che il pittore mi regalava i suoi disegni e avevo persino, non autorizzato, organizzato una mostra in una delle più famose gallerie di Bologna – parliamo del 1980 – vista e ammirata da alcuni dei più famosi pittori italiani (tra cui Publio Mandelli, Tano Festa, Sergio Romiti, Pirro Cuniberti), esibizione di cui si parlò anche in Inghilterra. c) addirittura la filiale italiana della Marlborough scrisse una lettera insinuando che io li avessi rubati. d) la Marlborough di Londra, che ebbe tredici anni di tempo per verificare se i disegni fossero autentici o meno (il pittore morirà alla fine del 1992) decise di NON FARE NULLA e) epilogo: dopo quasi vent’anni il famoso articolo del 1998 sull’Indipendent insinua che la storia è “opinabile”!!??
Parliamo di persone spietate, che ti querelavano se in un’esibizione incorniciavi un quadro del pittore non secondo i loro dettami o se non gli sottoponevi uno scritto sullo stesso per averne il regale imprimatur. Queste stesse persone se ne sarebbero rimaste in silenzio senza mai reagire in un contesto che se non fosse stato vero avrei rischiato la reclusione nella Torre di Londra per vent’anni? Cerchiamo di essere un minimo seri! Non solo, ma prendendo ancora lo stesso esempio, anche se potrei divertirmi con altri, io conservo accuratamente la documentazione di quando, più di dieci anni fa, la stessa Kate Austin avallò, di fatto, perlomeno la possibilità che fossero veri. Il pittore era morto da poco e io ero andato in un mesto pellegrinaggio a Londra. Ero talmente ubriaco che mi presentai alla Marlborough. Allora la Austen era assistente della mitica, non in senso positivo,Valerie Beston e io la sfidai dicendo che ero collegato ai disegni “Italiani” di Francis e che se avevano dei problemi potevano rivolgersi a Scotland Yard.
Study for a portrait Gentilissima, ma con un lampo d’enorme sopresa negli occhi, la Austin mi replicò in tono del tutto conciliante: “Sappiamo di questi disegni del pittore e saremmo assai interessati a vederli”. A dimostrazione delle loro buone intenzioni, dopo essersi consultata con “Miss B”, mi scrisse su un foglio quadrettato il telefono della Beston e mi regalò, a suo nome, due rari cataloghi del pittore. Io ricambiai la cortesia segnalando che avevo visto in Italia quello che mi sembrava un quadro molto strano di Francis, il famoso “Uomo che mangia una coscia di pollo” pubblicato in un catalogo con uno sfondo del tutto diverso da quello conosciuto (scoprii in seguito che era solo un problema di pessima stampa). Conservo tra l’altro non solo il famoso biglietto e i due cataloghi ma anche il nastro della nostra conversazione dal momento che, sia per il fatto di essere piuttosto alticcio sia perchè non mi fidavo molto, registrai di nascosto lo scambio (malizia di cui mi scuso, ma che sono ben contento di aver avuto). Study of a FigureCosa successe dopo?
Nulla, perché io assolutamente non credevo nella loro buona fede e anche nella peregrina ipotesi di dar loro diritto di vita o di morte sui disegni pensando l’esito fosse positivo non l’avrei comunque mai fatto perché avrebbe tradito uno dei motivi profondi per cui Francis me li aveva dati. Fu per lui una silenziosa vendetta contro il suo ambiente, contro la stolidità dei suoi fidanzati ufficiali che gli minarono alla lunga il talento, contro la stessa Marlborough che, se anche occorre riconoscere che fu molto abile nel creare il suo mito, è anche vero, come dimostra il processo subìto per il pittore e che costrinse il terrificante (anche d’aspetto) propietario J.F. Loyd a fuggire alle Bahamas per evitare di pagarne le spese, in pratica abusò del disinteresse di Bacon per il denaro, lo recluse dal mondo (centinaia di giornalisti furono respinti al mittente sempre con la stessa formuletta “il pittore era tanto grato ma purtroppo non poteva concedere l’intervista perché completamente ubriaco sotto un tavolo”, evento strano visto che durante tutti gli anni della nostra conoscenza non mi è mai capitato di vedere Francis nè completamente ubriaco, né sotto un tavolo) e di fatto minò il completo sviluppo del suo talento pittorico i cui capolavori non sono certo quegli degli ultimi vent’anni. Prova ne sia il senso di disagio che si prova guardando le sue seconde tarde versioni di capolavori giovanili come “Peinture, 1946” o “Tre studi alla base della Crocifissione”.
Certo, forse ho sbagliato. Forse avrei dovuto mettermi d’accordo canagliescamente con la Galleria, fare i miliardi e infischiarmene di tutto. Ma avrei tradito la sua memoria e non mi sarebbe rimasto, ogni mattina, che sputarmi in faccia.Vista poi la fine che hanno fatto forse non è stato un così grande errore.
Qual è la situazione con le attuali autorità di riferimento?
“Migliore, anche se il problema è proprio capire se esistano ancora delle autorità di riferimento, o una in assoluto. Mi permetto di dubitarne. Apparentemente esse oggi sono l’Estate e le Galleria Shafrazy- Faggionato. Alla prima all’inizio del 2000, quando la Marlborough perse ignominiosamente i diritti e le subentrò l’Estate (apparentemente diretta dal progettista in vetro Brian Clarke, buon amico di John Edward) spedii una dozzina di disegni per dimostrare che di loro non avevo timore, non dico assoluta fiducia. Mi accolsero con mille salamelecchi e si profusero in mille moine quando li autorizzai potenzialmente a vendere alcuni disegni per pagare le faraoniche spese della guerra legale contro la Marlborough. Mi chiesero, ma nonostante la promessa mai restituirono, la lettera d’accusa al suo entourage da lui firmata e da me battuta a macchina, in cui Francis mi lasciava i disegni. Mi domandarono di testimoniare contro la Marlborough nel processo facendomi addiritttura andare a Londra presso i loro avvocati, lo Studio Freshfields Bruckaus Deringer al 65 di Fleet Street. Infine, a processo concluso, e soprattutto a causa della precoce morte di J.Edward, si congedarono dicendo che in fondo non c’erano poi queste prove documentali che li avesse effettivamente realizzati Bacon. Il tutto genericamente, senza un solo spunto critico, alludendo grottescamente a due vaghi “resposabili” che si sarebbero occupati della perizia. E mi restituirono quindici disegni firmati!! Ma se dubitavano veramente dell’autenticità non avrebbero dovuto come minimo distruggerli e magari anche denunciarmi? Non che da persone che avevano dapprima asserito urbi et orbi che i disegni di Francis trovati da Barry Joule erano falsi, salvo poi subire quegli sgorbi senza concludere nulla, ci si potesse aspettare molto di più. Brian Clarke, definito dal grande critico Brian Sewell un “artista risibile”, benchè la diriga non ha un peso decisionale rilevante nella stessa Fondazione, che è piuttosto gestita da un’ignota ex maestra di scuola, certa Elizabeth Beatty, persona deliziosa per carità, ma che stento a definire l’erede morale e normativa della memoria di Bacon.
In quanto ai due galleristi outsider che si sono rifatti una nomea subentrando alla Marlborough perché amici dell’ingenuo “analfabeta” John Edward, sono l’iraniano Tony Shafrazy, che passerà alla storia per aver fatto la galera da giovane avendo cercato di distruggere Guernica; l’altro, Faggionato, ha rilasciato di recente un’intervista a Alain Elkan della stampa di Torino in cui si permette di definire Francis una persona “amorale e cinica”. A questo si aggiunge che in una bella ricostruzione della vita di Bacon nella seguitissima trasmissione inglese d’arte “Arena”, il fratello di J.Edward asserisce che la sua famiglia non si riconosce più negli organismi che lo rappresentavano. Considerato però che si rifiuta di dire quante opere siano ancora in loro possesso, nonostante sembri che John abbia lasciato tutto al suo fidanzato che vive a Pattaya, una delle capitali mondiali della pedofilia, e che questa volontà paia non trovare alcun appoggio, c’è veramente da chiedersi se questa gente non resti zitta spartendo il bottino, per non dire il cadavere, in una situazione di legalità che definirei evanescente.
Eddie Gray watching the drawings Mi sembra di capire che lei non riconosca alcuna autorità normativa su Bacon, un giudizio alquanto drastico…
Abbiamo parlato delle autorità presunte. Io mi inchino solo a quelle sostanziali.
Parlo, ad esempio, del suo coerede , Eddie Gray, un grande musicista che è stato probabilmente il vero uomo di fiducia di Francis, al punto da custodire le chiavi di tutte le sue proprietà durante le assenze dell’artista e di essere colui al quale John Edward si rivolgeva quando voleva staccare i fili col pittore. Nessuno conosce la vita di Bacon in tutti i suoi intimi dettagli quanto Gray. Quando di recente l’ho conosciuto a Londra era sospettoso nei miei riguardi. Dopo avermi accuratemente vagliato e aver preso visione dei disegni, che gli hanno causato una tale emozione da procurargli una cristi d’asma (curandosi questa malattia conobbe il pittore che era asmatico) è rimasto talmente colpito da decidere di regalarmi la giacca preferita di Francis (Gray ha infatti ereditato dal pittore tutta la mobilia e tutti i suoi vestiti). Si tratta dello stesso capo che indossava durante il suo ultimo viaggio in Sicilia, poco prima di morire, soggiorno che rimase assolutamente ignoto a tutti prima che io autorizzassi il vostro magazine a pubblicarne le relative foto: questo proprio a proposito di quanto fosse abile a rendere invisibile ciò che non reputava utile far saper.
Francis in Sicily with the jacket E. Gray gave me Un’altra vera autorità che non ho avuto paura ad affrontare in un mio recente viaggio a Londra è stato Michael Wojas, l’attuale proprietario del Colony Room, l’esclusivo club che è stata la sua autentica casa per quarant’anni, vero tempio della memoria del pittore. Dopo aver visto i disegni non solo mi ha abbracciato e baciato con trasporto ma mi ha anche chiesto di esporne uno per sempre, che per chi conosca la vicenda del pittore è quasi come se il Papa ti chiedesse di esporre in San Pietro un pezzo di legno della tua famiglia riconoscendolo come croce di Cristo. Tra l’altro il Colony è uno spazio ristretto, completamente ricoperto dai cimeli del pittore e del suo ambiente rimasto immutato da quarantanni. Purtroppo ho sbagliato la scelta e gliene ho mandato uno troppo grande. Un’altra persona straordinaria è stata Alyson Hunter, forse la più grande fotografa d’arte inglese e migliore amica di Daniel Farson (il cui libro rievocativo sul pittore è il più insuperabile capolavoro su Francis che io abbia mai letto) che mi ha introdotto a queste persone altrimenti inavvicinabili.
C. Lovatelli Ravarino with FB’s preferite jacket Qual è stato l’atteggiamento degli storici dell’arte?
Non è facile oggi individuare chi sia il maggiore baconologo di riferimento tra gli storici dell’arte. Probabilmente David Alan Mellor, che dirige un’intera Università e il cui parere possibilista sui peraltro affrettati, tirati via, schizzi che Barry Joule dichiarò essergli stati consegnati dal pittore ha avuto l’immediato effetto di dissolvere la querela dell’Estate. Devo dire che è stato gentilissimo e molto interessato quando gli ho spedito l’enorme documentazione sul mio corpus, e anche se non siamo ancora riusciti ad incontrarci durante il mio ultimo viaggio a Londra confido di farlo alla prima occasione. Un altro grande storico dell’arte inglese è Edward Lucie Smith (che detiene il primato mondiale nella vendita di libri d’arte) che conosceva benissimo Bacon e che sicuramente, qualora ci fosse stata qualche anomalia, manipolazione o addirittira falsificazione della vicenda, l’avrebbe saputo dire in una recente edizione di Arte Fiera a Bologna durante la quale ho avuto modo d’incontrarlo. In quell’occasione abbiamo trascorso insieme tutta la giornata e credo che i nastri della mia intervista, durata diverse ore, testimonino il rispetto e la viva curiosità con cui si è interessato della mia storia. Per non parlare poi della gratitudine che debbo a baconologi come Margarita Cappock, responsabile della ricostruzione dello Studio del pittore alla Hugh Lane Gallery di Dublino, la quale, senza chiedere nulla in cambio, ha spontaneamente riconosciuto l’importanza del mio corpus nel numero del centenario della prestigiosa rivista Berlington Magazin in gran parte dedicata alle opere su carta del pittore. Come non menzionare poi la significativa, squisita affabilità e l’interesse con cui Nicholas Serota, potentissimo direttore della Tate Gallery (l’unica istituzione al mondo a cui Francis abbia donato un Trittico) ha reagito alla mia provocazione: gli inviai infatti due disegni dicendo che, anche in qualità di responsabile dell’Istituto per il controllo della autenticità delle opere d’arte in Inghilterra, se avesse dubitato della loro autenticità avrebbe dovuto denunciarmi. Quello che vorrei fosse recepito anche dal più scettico dei lettori è che non c’è stato un solo esperto, specialista, o anche solo intimo della vita o dell’arte di Bacon con cui io mi sia confrontato, che non solo abbia potuto trovare un appiglio con cui smentirmi ma che non sia rimasto, almeno all’apparenza, profondamente impressionato dai disegni. Dall’ex direttore del British Museum, Robert Anderson, all’attuale Director of Group Exhibitions della Christie’s di Londra Anke Adler-Slottke, fino al più grande collezionista europeo Ernest Beyeler (eccellente il modo in cui nel suo straordinario libro/intervista “La Passion de l’art. Entretiens avec Christhope Mory” lumeggia il modo criminoso con cui la Marlborough legava a sè gli artisti senza un contratto, come avvenne per Bacon) il quale ha avuto l’umiltà di scrivermi una lettera in cui, accanto agli auguri di buon esito, si definisce non abbastanza colto per poter decidere sulla mia vicenda.
Fino ad arrivare Nicholas Turner, temutissimo dai falsari, verosimilmente il maggior esperto vivente di disegni antichi, che riununciò ai miliardi del Getty perché vi scovò una selva di falsi e che volle incontrarmi in Italia presso un suo collaboratore a Massa Lombarda. Fui avvisato che se avesse ravvisato la mano di qualche falsario mi avrebbe denunciato, ma la cosa non mi procurò ansia alcuna. Dopo averne esaminato una selezione per circa mezz’ora (la sua concentrazione trapanava i muri) si alzò per abbracciarmi, regalandomi un’osservazione straordinaria: “Io non conosco, nell’arte moderna, segni così immensamente violenti e al tempo stesso così immensamente accurati”.
Non potrei non menzionare anche il gallerista di Bacon per la Francia, il mitico Claude Bernard, che mi ha recentemente permesso di organizzare una cena in onore suo e del Maestro Leonardo Cremonini presso il castello dei principi Arone Di Bertolino. In conclusione, per chi abbia un minimo di buona fede e di conoscenza dell’arte e di Bacon, dovrebbe bastare la visione di uno dei miei disegni per crollare in ginocchio piangendo dall’emozione (e c’è chi l’ha fatto). Se invece l’osservatore è in malafede, anche davanti all’evidenza di un video in cui Bacon li sta realizzando dicendosi felice di regalarli a quel pazzo, una volta persino bello, del giornalista italoamaericano, direbbe che è un videomontaggio della Cia. With Nicholas TurnerIn Italia che tipo di attenzione e di seguito ha avuto la vicenda dei disegni di Bacon?
Che dire, non escludo che a Zagarolo ci siano dei corniciai pronti a smentirmi, forse perché hanno orecchiato di una mia lontana e insensata controversia legale assurdamente nata, cito dati processuali “per una vendetta dei servizi segreti” (ma non ne ero un segretissimo esponente?), ignorando del tutto che la causa, per quel poco che poteva contare a livello mondiale, l’ho ampliamente vinta. Facezie a parte sono invece molto grato a tante persone meravigliose che, specialmente in periodi in cui la storia documentale non era ancora così articolata, hanno creduto all’autenticità delle opere e si sono appassionati alla vicenda. Embraced with Michael WojasPrimi fra tutti alcuni dei più grandi pittori italiani, al cui sguardo suppongo fosse assai arduo raccontare delle balle, che mi hanno dimostrato il loro entusiasmo scambiando quadri importanti anche solo per un piccolo disegno di Bacon. Mi riferisco a nomi come Wolfango, Pirro Cuniberti, Concetto Pozzati, Giorgio Tonelli, Antonio Saliola. Parlo soprattutto di un eccelso maestro come Leonardo Cremonini, con il quale Francis esordì alla Hanoover Gallery di Londra, che portò il pittore a scorazzare in Vespa per Roma durante la sua prima visita in Italia e che non a caso Bacon andò a trovare alle Isole Eolie poco prima di morire.Si può davvero credere che a un genio come Cremonini, considerato da molti il più grande figurativo vivente assieme a Lucian Freud, nonchè amico intimo di Bacon per tutta la vita, fosse possibile raccontare delle fanfaluche? Quando li vide ebbe un gesto semplicemente sublime e mi chiese: “Posso abbracciarli?” ” Chi?” risposi ottusamente. “I disegni. Voglio loro già bene.”
Cito poi critiche serissime e incorruttibili come Rossana Bossaglia, che li difese pubblicamente durante una conferenza, così come il più importante produttore vinicolo dell’Emilia Romagna, Carlo Gaggioli, che ospitò me e Francis per un’oceanica bevuta e che non si è mai fatto intimidire da chi, con metodi discutibili, credeva di opinare la sua testimonianza, fino al più raffinato e onesto corniciaio antiquario lombardo, Lillo Bolzani, che si è sempre generosamente offerto di esporli per la sua clientela internazionale nel suo stupendo show room. Ma parlo soprattutto di colui che ha reso possibili molti di questi contatti: Giorgio Soavi.
Giorgio, per Giacometti, Sutherland, Balthus, considerati i maggiori geni d’arte di questo secolo, è stato non solo lo scrittore d’arte preferito ma anche un amico prezioso e un punto di riferimento senza il cui appoggio in Italia non si muovevano (tutti ovviamente tranne Bacon: anche a Soavi infatti Valerie Beston raccontò la favola che era ubriaco fradicio sotto un tavolo).
Un loro pari insomma. Il livello raggiunto dagli artisti nella propria opera era eguagliato dal livello delle sue critiche, anche nella sola descrizione di come si aggiustavano la sciarpa o si commuovevano salutando un amico in partenza. Una sorta di Mida narrativo, in grado di glorificare con la sua scrittura anche i particolari più umili della vita di questi pittori. Chiaramente oltre a tanta poesia c’era anche il suo occhio infallibile. Davanti a una risma di cinquanta disegni di Francis lui istintivamente fu in grado di selezionare i cinque che io sapevo i preferiti del pittore. Quando lo andai a trovare nella sua splendida villa di Cortina, tappezzata con i ritratti che gli avevano fatto personaggi del calibro di Sutherland e Giacometti, e nondimeno lo vidi emozionarsi davanti ai disegni fu per me un momento indimenticabile. La Marlborough non aveva ancora perso i diritti e io ero stremato. Lui invece giocò la sua credibilità e tutti i suoi molteplici contatti di altissimo livello per spalleggiarmi.
Non riuscirò mai a ringraziarlo sufficientemente. Come vorresti si concludesse la vicenda dei dipinti e l’impegno profuso in questi anni per il loro riconoscimento?
“Questi disegni non solo sono veri ma ambiscono ad essere uno dei più grandi, se non il più grande, corpus di disegni di tutti i tempi. Per chi pensa che io soffra di mitomania o sia già troppo ubriaco mi piacerebbe fare un piccolo esperimento. Prendere venti dei disegni in mio possesso del grande maestro angloirlandese e venti selezionati tra i più grandi artisti di tutti i tempi, che so, Michelangelo, Seurat e Picasso, e metterli gli uni accanto agli altri e quindi vedere chi ne esce sconfitto.
Giorgio Soavi under his
Sutherland’s portrait
with a drawing
C’è ancora molta gente nel mondo dell’arte che pensa che Bacon non disegnasse.
Io penso che molta gente nel mondo dell’arte si dovrebbe vergognare.
To get in touch with Cristiano Lovatelli Ravarino for any information: info@
(1) “Francis Bacon:Anatomy of an Enigma” Weidenfeld & Nicolson,1996, pag. 13
(2) Farrar, Strauss and Giroux, New York
(3) “Eggs Was a Diamond” pag.